SAN VITO – Sono passati diversi anni, da quando sono salito in sella ad una bicicletta e se mi guardo indietro, posso solo parlare di una bella esperienza incontrata 7 anni fa. Inizia per gioco e tutto si è poi trasformato in passione per le lunghe distanze, lasciando spazio al mio primo viaggio sulle strade d’ Italia, ripercorrendo nel modo più fedele possibile la via Francigena.
E’ il 2015 quando un mio caro amico mi fa capire che sarebbe contento di percorrere la via dei pellegrini assieme a me. Passano i giorni e lui sempre più entusiasta si preoccupa delle carte di viaggio, di informarmi sul tipo di percorso, dell’accoglienza pellegrina e tutto ciò che gravita attorno a questo mondo. Mi lascio avvolgere da questa avventura e un po la faccio mia, anche se il merito rimarrà tutto suo. Claudio, un amico conosciuto qualche anno prima, al quale ho voluto bene e col quale però non sono riuscito e non riuscirò mai più a fare il viaggio che tanto avevamo sognato, una fatalità ce l’ha portato via. Ciao caro amico.
E’ passato un anno da quel maledetto Maggio del 2015, un anno nel quale ho avuto modo di pensare, di tornare a sognare e di fantasticare nuovamente sulla Via Francigena. Il 6 Gennaio, sulla Preda Ringadora, non mi pronuncio in avventure stravaganti in Graziella ma sogno Roma. Perchè non andare a Roma lungo la Via Francigena portando nel cuore anche Claudio? Detto fatto…è ora di pensare a come organizzare il mio primo viaggio in bicicletta. Passano i mesi e scherzando con un nuovo amico dalle ruote “grasse“, gli “butto” lì l’idea. Enrico Montepoli, detto “Il Conte“, ci pensa su qualche giorno e poi titubante per mille motivi, accetta e si butta a capofitto in questa nuova esperienza. Il Conte è da pochi mesi che si diletta sulle due ruote, preferendo lo sterrato all’asfalto. Le sue preoccupazioni sono dettate dalla poca esperienza in un giro cosi lungo, che lo terrà impegnato sulla sella buona parte della giornata. Nei mesi successivi, ci confrontiamo diverse volte, per non dire quasi tutti i giorni, relativamente alla bicicletta, al materiale da portarsi dietro, all’abbigliamento, al cibo e tutto ciò che è necessario per non trovarsi in difficoltà. Compriamo un po d’attrezzatura relativa alla bicicletta, un sacco a pelo abbastanza compatto e cerchiamo di fare l’ inventario di ciò che abbiamo già. Nelle sere precedenti al viaggio, ci troviamo per verificare il percorso, quali tappe fare, dove dormire, ma sopratutto ci troviamo perchè il viaggio è già iniziato e stiamo già vivendo una grande avventura.
E’ il 20 Maggio, sono in garage per finire di sistemare la mia bicicletta. La mia Bianchi è al debutto al suo primo viaggio sulle strade asfaltate che fino a quel momento l’avevano solamente vista in qualche sporadico allenamento. Sul manubrio ho fissato un borsello contenente il cibo e i documenti. La “trombetta“, ormai oggetto indispensabile per i miei viaggi, un “simbolo” lasciato in eredità dall’amico Guerz emigrato in America ormai da 1 anno. Due borracce fissate al telaio, un portapacchi posteriore con appese le due sacche piene di roba: attrezzi per riparare eventualmente la bici, vestiti e sacco a pelo. Il telefono squilla continuamente, messaggi e telefonate interrompono la preparazione del mezzo meccanico. Un po sorrido, un po mi innervosisco, ma del resto è normale così. Le ore del pomeriggio passano velocemente, talmente veloce che ho poco tempo per ricontrollare tutto. Mi affido alla mia poca esperienza derivante dalle randonnee, dove ho imparato portarmi dietro il minimo indispensabile…anche se tutte le volte mi accorgo che potrei ottimizzare.
21 Maggio – La sveglia suona alle 6:00, è l’alba della partenza. Mi sveglio e come consuetudine, metto a bollire l’acqua per poi cuocere la pasta che condirò col tonno. Dopo anni e anni di colazioni a base di pasta e tonno, mi chiedo se è proprio necessario o se è diventato un “rito“, dal quale non voglio separarmi. Mangio con calma, mi vesto, mi lavo i denti e riempo le tasche dietro la schiena. Scendo in garage dove trovo lei, la bicicletta pronta al suo primo viaggio verso Roma. Le prime pedalate sono sempre quelle piu strane, quelle che mi fanno lasciare la casa alle spalle, quelle che aprono il viaggio verso il domani, il giorno piu bello. Vado a salutare mia mamma e mio fratello, che alle 7:00 sono già operativi in negozio. Quando mia mamma mi saluta, leggo nei suoi occhi un insieme di emozioni che non riesco a interpretare, come se fosse un “torna presto“, più che un “buon viaggio“. Saluto tutti e mi dirigo verso il bar Rinascita di San Vito, dove aspetto il Conte che tarda pochi minuti ad arrivare. Non siamo soli, arrivano anche tanti amici a salutarci, a darci quella “pacca sulla spalla” che ha un valore immenso per chi come noi sta per iniziare un viaggio di 800 km. Arrivano Giannino, Giada, Mary e suo babbo, i genitori del Conte, mio babbo, Fabrizio, Guido, Roberta, Gianni (Janez), il Gara, Levvo, Patty, Paolo….Sono li assieme a noi, si sono alzati apposta per salutarci, per scattare qualche foto, ma sopratutto per farci sentire il loro calore. Grazie. Giannino, il capitano indiscusso di San Vito, con la sua bandierina ci da il via e a noi non resta che pedalare.
Le nostre ruote iniziano a girare, noi stentiamo a crederci ma la direzione è verso ovest, verso Piacenza! Non passano molti km, quando incrociamo la ciclabile che ci porta a Modena. Sono davanti, il Conte è leggermente dietro che filma col cellulare, mentre un gatto nero ci attraversa la strada….ma non siamo superstiziosi e “come se non ci fosse un domani” pedaliamo verso il centro di Modena. Prima dell’ingresso cittadino, incrociamo 2 ciclisti che ci fermano e ci chiedono “Dove andate? Cosa fate?“….e secondo voi noi ci lasciamo perdere l’occasione di raccontare qualcosa? Scopriamo poi che anche loro sono viaggiatori e percorreranno la Via Francigena fra qualche settimana. Modena alla mattina è senza traffico, si gira senza pensieri e col sole che ci batte sulla schiena. Vediamo le nostre ombre là davanti,
ad indicarci la direzione. Ci fermiamo al Bar “La Torrefazione“, dove i proprietari, amici del Conte, ci servono due bollicine e un tagliere di affettati misti. Sono solo le 9:30 di sabato mattina e non si comincia male… I profumi e i sapori provenienti dal tagliere, sono strepitosi e le bollicine completano una “anomala colazione“. Ripartiamo verso il centro a salutare la Ghirlandina, dove troviamo un personaggio storico di Modena: il Pregno, Roberto Pregnolato, che in varie occasioni mi ha sistemato la spalla destra e un ginocchio sinistro. Foto di rito, saluti e tante risate che ci lasciamo alle spalle dopo pochi minuti. La via Emilia è sempre li che ci aspetta, ci indica la direzione e ci mostra la sua bellezza quando attraversa le città e i paesotti meno affollati. Il traffico è trascurabile, le poche auto che ci sorpassano ci rispettano e a volte tentano un timido saluto ricambiato immediatamente con un colpo di trombetta. Modena è alle spalle, mentre Reggio Emilia all’orizzonte sembra chiamarci a voce alta. La pedalata è fluida, il peso delle borse è quasi impercettibile mentre la velocità è sostenuta quasi sempre attorno ai 30 km/h. Entriamo a Reggio Emilia già a metà mattinata, salutando chiunque sgrani gli occhi sui due inusuali ciclisti. L’attraversiamo senza perderci in chiacchere, dirigendoci verso Parma. A volte sono davanti cercando di mantenere un passo sostenuto ma non troppo, altre volte è il Conte che detta la velocità di crociera facendo molta attenzione alla strada, che spesso presenta qualche buca. A Parma abbiamo due sorprese: la mia foratura della ruota posteriore e uno “spaventoso” incontro inaspettato. Ho una sensazione strana, nelle poche curve che percorriamo, sento il posteriore della bicicletta muoversi in modo anomalo. Penso subito al peso delle borse, al fatto che potrebbero muoversi e di conseguenza portarmi a compiere traiettorie indesiderate. La situazione si ripete nell’arco di poche centinaia di metri, mi fermo e controllo. Premo col pollice sul copertone posteriore e mi accorgo che la pressione è scesa molto….e via che si inizia a cambiare la camera d’aria. Fra qualche risata e qualche foto, perdiamo circa 20 minuti….ma torniamo a pedalare poco dopo. Siamo in fila indiana, io davanti e il Conte dietro. La via Emilia in molti tratti è costeggiata da arbusti, alberi ed erba alta. Pedalo col sorriso, sono tranquillo, sereno e vedo davanti a me una giornata strepitosamente soleggiata. All’improvviso sento un frastuono vicino alla mia gamba destra, una nuvola di polvere si alza dal basso mentre istintivamente mi viene da allargare leggermente la traiettoria verso sinistra. Il Conte è a ruota e fortunatamente non riusciamo a stare in equilibrio evitando cosi il peggio. In mezzo al polverone e all’erba alta, intravediamo un galletto che spaventato dal nostro passaggio si era agitato buttandosi sulla nostra traiettoria rientrando immediatamente. Un gran spavento, una leggera sbandata, ma tutto si è risolto in un attimo di paura. Continuiamo a pedalare, fissando il ciglio della strada, siamo più attenti, anche se col passare dei chilometri, ci dimentichiamo velocemente dell’ accaduto. Passata Parma, ci avviciniamo a Fidenza dove decidiamo di fermarci per mangiare un boccone. La periferia è poco piacevole, anche se avvicinandoci al centro scopriamo una ridente cittadina. Dove fermarci? Ci guardiamo intorno e dopo aver saltato qualche locanda senza un’apparente motivo, ci fermiamo alla “Locanda del Pellegrino“. Sarà un caso? Non lo so…..ma di certo una bella coincidenza. Notiamo gli stemmi della Via Francigena e nel parlare con la simpatica cameriera veniamo a conoscenza della storia di questo locale, nato proprio sulla “scia” della Via Francigena. Dopo l’ottimo pasto, scattiamo qualche foto e chiediamo informazioni su dove poter dormire la notte. Sono passate le 14:00 e l’obbiettivo giornaliero è andare a Piacenza, dove il buon Claudio avrebbe voluto timbrare la sua carta di viaggio. L’oste ci consiglia un albergo a pochi metri dal centro, dove poter passare la notte, senza spendere un’esagerazione. L’ultima indicazione che gli chiediamo è che strada fare per andare a Piacenza….quale lui consiglierebbe. Sembra molto preparato in materia, ma quando ci indica la sua idea, inizio a dire che gran “si…si…si“, disinteressandomi completamente di ciò che mi stava dicendo. In bicicletta non ho tanta esperienza, ma riesco a capire in pochi istanti, quando l’interlocutore parla senza sapere cosa vuol dire pedalare per decine o centinaia di km. Probabilmente pensava che sotto al sedere avessimo delle motociclette e non delle biciclette. Ci fidiamo per quanto riguarda l’albergo, ma non di certo per quanto riguarda la strada. In tutti i casi avremmo fatto bene a non fidarci di nulla! La via Emilia è li all’orizzonte, piatta, calda e dritta come uno spaghetto. Ci alterniamo a vicenda, in modo da risparmiare un po di energie, passando dalla Via Emilia a una strada apparentemente vietata alle biciclette. Ormai ci siamo sopra e non riusciamo ad uscirne, visto che sembra una tangenziale. Usciamo alla prima uscita, finendo in un paesino di poche anime….e fortunatamente ne incontriamo una. E’ una ragazza, che esce da un cancello, la fermiamo e le chiediamo informazioni. Gentilmente ci indica la Via Emilia, ci saluta un po frettolosamente e se ne va per la sua strada. Ringraziamo e torniamo a pedalare verso Ovest. Arrivati alle porte di Piacenza, cerchiamo l’ostello per fare il timbro, ma come due “pesci fuor d’acqua” non troviamo nulla. C’è una parrucchiera poco avanti e noi…”…scusi, ma per fare il timbro….bla…bla…bla….“. Lei ci indica dove andare….anzi a quanto sembra è molto informata sull’ostello… “quindi siamo in una botte di ferro“! Ripartiamo per raggiungere il centro dove ci aspetta il parroco, un ragazzo di 45/50 anni con fare giovanile ci da il benvenuto nella sua parrocchia. Stanno allestendo per la festa di paese, che si terrà proprio la sera stessa della nostra visita. Il Conte, vorrebbe rimanere per mangiare la sera…o forse solo per riposarsi, visto che avevamo già percorso quasi 140 km. Subito non dico nulla, penso alla strada e alle tappe che ci eravamo prefissati, faccio due conti sulla tappa del giorno dopo e cerco di convincere il Conte per fare rientro a Fidenza, dove avremmo pernottato. Tentenna, ma poi alla fine si fa convincere, riprendiamo le nostre biciclette e ripartiamo per tornare verso est. La pedalata è un po lenta, le gambe diventano pesanti e il sole continua a scaldare la nostra pelle che dal bianco pallido è diventata rosso vivo. Stringiamo i denti fino a Fidenza, dove torniamo in centro a cercare l’albero consigliato dal nostro “amico“. Arriviamo verso le 18:30, dove troviamo due personaggi “strani” ad aspettarci…come se non avessero nulla da fare. Ci fanno posteggiare le biciclette nel “magazzino” dove tengono gli alimenti della cucina, facendoci poi passare per la cucina stessa. Sgraniamo gli occhi e cerchiamo di osservare lo stato della cucina: stretta, in disordine, sporca e con i vari strumenti del mestiere lasciati al caso. Diciamo che non ci ha lasciato una bella impressione. Attraversiamo la hall e ci dirigiamo verso il terzo piano, dove le impressioni della cucina vengono riflesse in modo identico sulla cura dello stabile. Ciò che vediamo salendo le scale è imbarazzante: scale sporche, soffitto coperto da un telo per non fare vedere chissà cosa, escrementi di qualche animaletto e un odore che sfiora la “puzza“! Arriviamo davanti alla porta, inseriamo la chiave sperando di doverci ricredere….e invece entriamo in una stanza poco ma poco accogliente. Il bagno è il pezzo forte o meglio è forte la puzza che si sente, come se ci fosse appena stato uno a lavarsi o a fare i propri bisogni. Siamo talmente stanchi, che non abbiamo le forze per andarcene, ci accontentiamo di quel posto a dire poco “malsano“. Usciamo per cena dirigendoci verso il centro, dove troviamo un ristorante gestito da uno stravagante ragazzotto romano, il quale ci serve piatti a dire poco deliziosi. Ceniamo in tutta tranquillità per poi ritornare nel “tugurio” per cercare di passare la notte nel “piu veloce modo possibile“. E’ l’alba, la sveglia suona e gli occhi iniziano ad osservare nuovamente quella stanza, che nulla avrebbe avuto a che fare con una stanza di un hotel. Ci cambiamo in fretta, rifacciamo le borse e ci dirigiamo nuovamente nel magazzino a fianco della cucina. Ve lo voglio scrivere, perchè una cosa del genere non penso mi sia mai capitata. Io sono un ragazzo di “bocca buona“, mangio di tutto e dormo ovunque senza troppe “storie“, ma stavolta ho superato il limite. Attraverso la cucina assieme al Conte, non diciamo neanche una parola, ma abbiamo gli occhi ben aperti e attenti a tutto: la cucina è più sporca di quando siamo arrivati la sera prima, tutti i tegami e piatti sono sporchi e appoggiati a caso ovunque. Per terra il pavimento è unto e sporco, mentre l’aria è irrespirabile: ho quasi i sensi del vomito. Entriamo nel magazzino dove ci sono le biciclette e incredibilmente scopro da dove deriva quella puzza nauseante: ci sono circa 7 o 8 sacchi del pattume della sera lasciati a fianco degli alimenti. Giuro, cerco di sistemare la bici nel piu breve tempo possibile per potermene andare fuori. Ho male allo stomaco, ho la nausea e non penso di resistere piu di 5 minuti. Usciamo in fretta, non facciamo nemmeno colazione e ce ne andiamo. Ecco…diciamo che i consigli del nostro “amico” della Taverna del Pellegrino…non sono stati proprio il top…anzi sono stati decisamente un flop!
22 Maggio – E’ domenica e la direzione delle nostre biciclette è verso Sud, verso quella montagna che tanto ci spaventa, non per l’altitudine, ma perchè le nostre biciclette sono pesanti e la salita sarà molto lunga. Pedaliamo lungo una ciclabile che si trasforma in strada chiusa. Molti camminatori si godono il sole che lentamente scalda l’aria che ci circonda, qualcuno ci saluta, altri sorridono mentre incrociamo i loro sguardi. Senza controllare la mappa, ci dirigiamo verso le prime colline, ma solo dopo aver parlato con una signora di mezza età, ci accorgiamo d’aver sbagliato strada. Torniamo indietro e seguendo le indicazioni della Via Francigena ci inoltriamo in una strepitosa stradina alberata che sfocia a sua volta in una carreggiata completamente ghiaiata. Saliamo, pedaliamo fino a che la strada diventa una carreggiata per trattori. Poco piu avanti alcune a case sembrano “vestire abiti da festa“, mentre qualche ragazza attraversa il nostro cammino. Ci fermiamo a chiedere indicazioni e in meno di 2 secondi, notiamo un certo stupore negli occhi di chi ci osserva: “Ma siete voi?…mi ricortdo il nome Giuliano scritto sulla bici e le vostre divise….“. Era quella ragazza che fuori Fidenza ci aveva dato le indicazioni per raggiungere Piacenza. Incredibile, ritrovarla il giorno dopo, lungo una carreggiata, in mezzo a una collina a decine e decine di km da dove l’avevamo incontrata la prima volta. Ridiamo e scherziamo per qualche minuto, per poi farci nuovamente insegnare la strada….che inspiegabilmente avevamo nuovamente perso. Via di nuovo verso nord per poi tornare a pedalare verso sud dopo qualche km. Siamo su una strada statale, praticamente priva di traffico, quando un ciclista “tirato a spigolo vivo” ci supera. Ci provo, mi metto a ruota, mentre il Conte si stacca subito. Non lo mollo, pedalo oltre i miei limiti, fino a quando il ciclista sconosciuto mi indica il suo cambio di direzione, lo saluto e lo ringrazio per avermi fatto “ciucciare la sua ruota”. Ne approfitto, mi fermo e aspetto il Conte, al quale scatto qualche foto. La strada è abbastanza monotona, per distrarre le nostre menti chiaccheriamo e ci raccontiamo qualche aneddoto degli anni passati. Alcuni ricordi vanno alle partite di calcio, altri alle scorribande in riviera e per finire a Giada e Mery. Il sole è quasi a picco sulle nostre teste e decidiamo di fermarci al primo bar che incontriamo. La salita vera deve ancora cominciare mentre decidiamo di fermarci a Ramiola, dove un bar serve qualche aperitivo ai propri clienti. Ci fermiamo un attimo a bere e mangiare, per poi affrontare il Passo della Cisa. Una CocaCola, un caffè e un mezzo panino per ricaricare le pile. Il barista ci chiede dove stiamo andando e noi subito sorridiamo per ripetere orgogliosi il nostro giro. Un signore alla mia sinistra e il barista sgranano gli occhi e con voce ferma e decisa: “…tornate indietro…non ce la farete mai…è troppo dura!“. Vedo che il Conte ci rimane male, non tanto per la difficoltà del percorso, ma per la poca fiducia di quella affermazione. “Fatta corta e fatta lunga“, gli appoggio il nostro bigliettino da visita sul banco e gli dico: “…Passato il Passo della Cisa….arriveremo a Roma Giovedì sera! Qui potrà leggere il nostro viaggio….“. Sorridiamo, paghiamo e salutiamo, ora ci resta solo da pedalare. Il sole è bello alto, è li che ci aspetta, scalda le nostre gambe e le nostre braccia, come se fossero salsicce sulla griglia, ma noi incuranti della fatica, pensiamo solo ad affrontare questi km che ci separano dalla vetta. Passiamo un ponte, in fondo al quale una signora anziana si ferma a salutarci: con tanta tenerezza ci sussurra: “…Salutatemi Francesco…“. Una foto e via verso la Cisa. La strada si impenna, le gambe girano lente, le marce sono finite e la velocità è sempre piu bassa. Davanti a noi un cimitero, dove troviamo un po di refrigerio nella fontanina che è posta davanti all’ingresso. Mi bagno tutto, dalla testa ai piedi, ci beviamo due borraccine di sali e poi nuovamente in sella. Parliamo poco, siamo concentrati sulla strada, non alzo lo sguardo se non per vedere dove la ruota sta andando. Il Conte ha “piu gamba” e spesso lo vedo sparire all’orizzonte per poi aspettarmi all’ombra di qualche pianta. La salita non da un attimo di respiro, anzi è sempre li dritta davanti a noi, sembra interminabile. Qualche ciclista ci saluta mentre sfreccia verso il basso, altri non ci degnano nemmeno di uno sguardo, come se fossero al Giro d’ Italia o al Tour De France. Incontriamo un monumento in ricordo della prima corsa di Enzo Ferrari, dove un motociclista stravagante si ferma per farci e farsi una foto. Circa a metà salita ecco un bar circondato da motociclisti e qualche turista sulle quattro ruote, ci fermiamo e mangiamo un boccone. Nei tavoli posti all’esterno, ci sono alcune persone che ci osservano e molto timidamente un signore prova, con approssimato inglese, a chiedermi da dove vengo. Sgrano gli occhi e gli rispondo con la “S” del buon modenese. Sorrido: “…siamo di Modena…“. Questa situazione, mi fa proprio pensare a quanto sia poco diffuso il “viaggio in bicicletta” in italia….e che i viaggiatori siano etichettati come “stranieri“. Cominciamo a parlare, a scherzare, a ridere, a prenderci in giro fino a chè non viene l’ora di ripartire e di affrontare gli ultimi 15 km circa di salita. E’ la parte meno dura della salita, anche se ugualmente si fa sentire. Pochi km prima dell Passo della Cisa, arriviamo all’ostello dove ci accolgono alcuni personaggi strepitosamente simpatici ed amichevoli. Parlando del più e del meno, ci suggeriscono di fermarci a Pontremoli per la notte, nell’ex convento dei Frati Cappuccini. Ho subito un flash e mi torna in mente quando Padre Luciano Pallini, da Pontremoli veniva a trovare mio zio e mia nonna….avevo poco meno di 10 anni, un salto nel mio lontano passato. Beviamo un bicchiere di vino dolce (che non mi disseta, anzi….) per poi salutare dopo la foto di rito. 2000 metri….. 1500 metri…. 1000 metri….. 500 metri, ed ecco là davanti a noi il Passo della Cisa. Siamo arrivati in cima, facendoci beffa del barista che non avrebbe scommesso neppure “1 Lira” sulla nostra riuscita. Timbriamo la carta di viaggio e poi via, verso il basso. Le ruote girano veloci, i freni cigolano come non mai e i km passano veloci mentre l’aria ci rinfresca la pelle arrossata dal sole cocente. Andiamo talmente forte che ricordo poco della discesa, se non chè della vegetazione che ci circonda che lascia poca visibilità oltre il ciglio della strada. Pontremoli è davanti a noi, una cittadina che sembra essersi fermata nel tempo, con le sue case curate e i diversi ponti che passano da una parte all’altra del fiume. Cerchiamo il convento e rimaniamo sorprendentemente colpiti: curato, pulito, grande e con una terrazza dove poter stendere i panni bagnati. Il convento è tutto in pietra, i muri sono spessi, talmente spessi che il sole fatica a riscaldare gli ambienti interni. Le camere che ci assegnano sono piccoline, ma a misura d’uomo, entro le quali riusciamo a posteggiare anche le nostre biciclette. Doccia, riposino e poi pronti per andare a cena in centro, dalla famosa “Cher della Luinigiana“. Condividiamo la cena con un pellegrino che sta percorrendo parte della Via Francigena da nord verso sud, si chiama Giuliano e ci racconta un po di lui. E’ un giovinastro, viaggia da solo e si sta godendo in pieno tutto ciò che la natura gli offre. Ha appena finito gli studi e si sta prendendo qualche giorno per pensare al suo futuro: “…in bocca al lupo Giuliano…!!!!”. La serata passa fra una risata e l’altra…per poi andare a dormire e pensare alla partenza del giorno successivo, che si prevede bagnata…
23 Maggio – Ore 6:30, mi sveglio a causa della pioggia battente…non ci voglio credere! Mi ritorna in mente una qualche randonnee, nelle quali ho pedalato ininterrottamente per ore e ore sotto l’acqua. Prendo in mano il cellulare e controllo le previsioni della giornata, sgrano gli occhi e me ne faccio una ragione: tutta la mattina è cosi come è iniziata, pioggia e schiarite nel pomeriggio. Messaggio il Conte che dorme a poche stanze vicine alla mia: “…apri gli occhi e guarda fuori…“. Aspetto la sua risposta che non arriva, vado in bagno e lascio la porta socchiusa quando rientro. Continuo a scrivere col cellulare quando all’improvviso si apre la porta e una voce femminile sussurra qualcosa che fatico a capire. La mia attenzione è a quel volto che tenta di fare capolino e in un attimo si accorge di essere nella camera sbagliata. Saluto e sorrido, mentre lei scappa senza salutare. Continuo a dirle “…buongiorno….non ti preoccupare…” e subito dopo sento che entra nella camera a fianco scoppiando a ridere probabilmente con suo marito. Mi alzo, preparo la bicicletta, mi vesto, mentre il Conte è già giu che mi aspetta. La pioggia si alterna a sprazzi di sole, che poco lasciano sperare, ma che ugualmente ci lasciano qualche speranza. Ci infiliamo nel primo bar che troviamo in centro, dove rimaniamo circa 1 ora abbondante a mangiare come se non ci fosse un domani. La pioggia da fine si trasforma in pioggia battente per poi tornare fine, a volte cessa poi riprende. Passano le 9:30 quando in un attimo di quiete decidiamo di partire, saliamo in sella e via felici come dei bambini che giocano sotto la pioggia, partiamo verso Sarzana. Stiamo attenti alle strade, alle macchine, alle pozze d’acqua e in fila indiano pedaliamo abbastanza velocemente in modo da lasciarci le strade trafficate alle spalle. Il mare è là davanti che ci aspetta, mentre noi ci infiliamo il Kway o lo togliamo in base alla pioggia che scherzosamente “ci prende in giro“. Aulla, ecco che ritorno alla 1001Miglia del 2012, quando un sole infuocato mi faceva penare su quelle strade roventi: ora sono bagnato, fresco e nella direzione opposta. Passiamo Sarzana per giungere finalmente al mare: Marina di Carrara. La spiaggia è nascosta da un sentiero alberato che piacevolmente ci conduce al mare, un mare mosso dalle onde alte che si infrangono su qualche scoglio posto qua e là. Alcuni temerari al largo si divertono con la tavola da surf, mentre la spiaggia è deserta e quasi lasciata al caso. Gli stabilimenti chiusi come se fosse pieno inverno, lasciano trapelare un senso di desolazione. Qualche macchina fotografica scatta una foto sfuggente, mentre qualche selfie la fa da padrona. Mangiamo qualcosa, mentre ci lasciamo alle spalle il brutto tempo dirigendoci verso sud, verso Forte dei Marmi. Il disordine è solo un ricordo di quei pochi km dietro le nostre spalle, ora tutto splende, come se fossimo in un altro mondo: Forte dei Marmi è tirata a lucido, pronta per ospitare i primi turisti, che da qui a poco popoleranno le spiagge desolate. La ciclabile che percorriamo è tenuta molto bene, l’asfalto colorato mette in risalto il benessere sul quale stiamo transitando. E’ da poco scoccato il mezzogiorno, mentre decidiamo di fermarci a mangiare una pizza al volo lungo una via poco trafficata. Due parole col pizzaiolo, che sembra stupito nel sentirci raccontare il viaggio…come se non avesse mai sentito parlare della Via Francigena. Ripartiamo verso l’entroterra, i miei pensieri cerco di farli restare miei, anche se a volte racconto al Conte di qualche avventura passata sulle due ruote, gli racconto di Claudio, dei miei amici che fino a quel giorno mi avevano accompagnato sulle strade d’ Italia. Ci superano alcuni ciclisti e “come se fossi sulla mia Colnago“, cerco di tenere la ruota. Siamo carichi e fatico a portarmi alla velocità di chi ci ha superato, butto indietro l’occhio e vedo il Conte a pochi centimetri dalla mia ruota. Accelero e scalo la marcia, non mollo, anzi mi diverto nel vedere che il ciclista che mi precede aumenta l’andatura. Altri due si affiancano e iniziano a parlarci, mentre i contachilometri segnano i 38 all’ora. Ancora qualche pedalata, e qualche km in piu, mentre sentiamo le voci sfumare alle nostre spalle. Io e il Conte stiamo tenendo il passo dell’unico ciclista che ci precedente, mentre gli altri sono “volati via“. Continuiamo per qualche centinaio di metri, per poi rallentare tutti e tre e scambiare qualche parola. Ci indicano la strada migliore da per raggiungere Lucca. In un qualche modo riusciamo a sbagliare strada, anche se la direzione sembra non essere del tutto sbagliata. Ci imbattiamo in un paesino non piu grande di San Vito, cerchiamo la chiesa e dietro ad una curva vediamo un omone alto piu di noi, ben messo fisicamente con una tunica alla “Don Abbondio“. Sorrido ed immaginando la risposta, chiediamo: “…Scusi è Lei il parroco? Stiamo facendo la Via Francigena…potrebbe farci il timbro?…“. Subito tentenna, ci fa pesare che è ancora un po malato e che non ha il timbro a portata di mano, ma poi torna sui suoi passi e fa due rampe di scale per accontentarci. Timbro fotto…via verso l’entroterra. Un po per scaramanzia, un po per prendere in giro il mio compagno di viaggio, gli ricordo che a Lucca si sarebbe ritirato e che gli avrei pagato il biglietto del treno di ritorno, mentre io avrei continuato verso Roma. I km iniziano a pesare sulle gambe, ma il Conte non molla ed arrivati a Lucca andiamo in stazione a fare qualche fotografia da mandare a Giada, Mery e a qualche amico che sapeva di questa “scommessa“. Due pedalate per il centro, timbro in cattedrale e poi via verso il Bed&Breakfast che ci aspetta: una ragazza piu o meno della nostra età, carina e altrettanto simpatica ci accoglie con un po di titubanza, ma dopo pochi minuti si allinea alle nostre battute e sta al gioco come se ci conoscesse da tempo. Le camere sono accoglienti, le biciclette sono al sicuro in una sorta di garage mentre lo stomaco inizia a brontolare. Ci cambiamo e andiamo a fare due passi in centro: molti stranieri, molti locali pieni e noi con due spritz in mano facciamo passare alcune ore godendoci gli ultimi raggi solari. Troviamo un locale abbastanza affollato ma dai profumi strepitosi: siamo in cerca di carne, quella succulenta, quella dove i nostri denti possano trovare soddisfazione. Partiamo con qualche crostino seguito da un buon Chianti accostato ad una fiorentina d’altri tempi. Spazzoliamo tutto e decidiamo di fare il bis: non ci facciamo mancare nulla! I racconti al tavolo si sprecano, specialmente dopo la seconda bottiglia di vino che ci lascia trapelare qualche storiella dei tempi passati. Spettacolo, io e il Conte, come se fossimo cresciuti assieme. Penso sia la parte piu bella viaggio, potersi confidare senza pensieri, lasciarsi andare in discorsi che probabilmente avrei potuto fare solo con il Bloz, con Guerz e pochi altri. Barcolliamo nell’alzarci, ma con un passo lento e non violento ci dirigiamo verso la nostra camera. Una caratteristica del Conte che non vi ho ancora detto è che lui “fatica” veramente tanto a prendere sonno. E’ incredibile la rapidità con la quale si addormenti prima ancora di essere sdraiato. Qualche nostro amico che abbiamo in comune, mi aveva avvisato che sarebbe stato impossibile scambiare due parole prima di addormentarci, proprio perchè il Conte mentre ti parla è già bello che andato. Tutto vero, confermo! Omar, avevi ragione…lui non dorme…lui sviene!
24 Maggio – Suona la sveglia, è l’alba di un giorno nuovo. Pronti via, tiriamo su i panni stesi la sera prima per poi prepararci e dirigerci verso il primo forno aperto. Ci facciamo guidare dal nostro olfatto e dalle nostre sensazioni: eccolo li davanti a noi. Mangiamo come se la sera prima avessimo digiunato, per poi tornare in sella ed attraversare alcune zone industriali che hanno ben poco a che fare con la Toscana. Ci fermiamo in un bar a Porcari, dove ordino 2 caffè. La ragazza, molto gentile ce li prepara subito, ma il Conte si è gia infilato in bagno. Li bevo entrambi…ordinandone poi un terzo pochi minuti dopo. Lei sorride, scambia qualche battuta, ci saluta mentre ci dirigiamo verso Altopascio: uno stradone largo, sotto al sole e senza nulla da vedere se non alcune distese di campi coltivati. Nota di merito, la si deve fare alla “Biblioteca” che ospita lo strepitoso timbro. L’hanno inaugurata da pochi mesi, è bellissima, molto stilosa e sulla via principale. I pochi cittadini che incontriamo, ne sono orgogliosi e si perdono in racconti ricchi di aneddoti. Nel ripartire, il Conte molto piu informato di me, legge il cartello VINCI…e subito mi racconta qualcosa sulla sua storia…su Leonardo da Vinci. Andiamo oltre, giungendo a San Miniato lungo una strada ripida che ci porta in centro. Ancora una volta imparo qualcosa di nuovo, che il Conte mi racconta con tutta la sua naturalezza. Via, voliamo, pedaliamo in direzione Castelfiorentino: passando dal bar dell’amico Mauro Posarelli, conosciuto qualche anno prima per averci dato ospitalità in casa sua durante il Coast To Coast Italia in Graziella. Mauro è a fare una randonnee in Grecia, gli lascio la colazione pagata al bar che frequenta di solito. I gestori ci spiegano la strada migliore da fare per raggiungere San Giminiano…ma solo il nostro istinto e le nostre cartine ci guideranno in quella terra conosciuta piu per quel che si racconta che per quel che l’abbiamo vissuta. San Giminiano è li che ci aspetta, con la sua storia, con la sua bellezza e la gente straordinaria che la abita. Mangiamo ad un bar consigliato da una signora di origini tedesche che da molti anni si è trasferita li. CocaCola, panino e caffè. L’obbiettivo è Siena anche se siamo ben consapevoli che dobbiamo stringere i denti, se vogliamo raggiungerla entro sera. Mentre pedaliamo, alcuni pensieri vanno all’amico Claudio, il quale mi raccontava della bellezza di Monteriggioni che avrebbe voluto rivedere assieme a me. Purtroppo rimarrà solo un eterno sogno che mi stringe il cuore, anche se sono convinto che attraverso le mie emozioni, lui da lassù le ha vissute assieme a me. La salita è dura, talmente dura che sono a rischio di cadere. Mi sbilancio, mi alzo in piedi, sento la ruota che slitta su quello sterrato compatto ma pieno di insidie. Sono pochi km che portano a Monteriggioni, ma sono duri e con qualche passaggio anche tecnico, se pensiamo che siamo su due biciclette da viaggio e carichi come due muli. Sento il Conte alle mie spalle, ma metro dopo metro il suo rumore svanisce. Non ho la forza per girarmi e continuo senza voltarmi, come se fossi agli ultimi metri di una tappa di montagna. Se mi fossi girato avrei sicuramente perso l’equilibrio per poi dovermi fermare. Arrivo davanti alle mura che un tempo proteggevano il piccolo borgo: mi fermo, scendo, ho il fiatone, il cuore batte come un matto. Dietro nessuno, il Conte si è fermato e non riesce più a ripartire, la ruota scivola mentre due con la mountainbike lo superano. Il Conte dopo alcune prove decide di spingere la bicicletta fino in cima: sarebbe stato impensabile ripartire da quella situazione e con quella bicicletta. Cerchiamo il timbro, qualche foto di rito e poi di nuovo in sella per raggiungere Siena prima del calare della luce. Chiamiamo l’ostello per sentire se hanno posto per la sera, il Conte ha sempre un tono molto calmo e pacato, come se fosse a predicare sull’altare. Risponde una suora che dopo pochi minuti ci conferma che ha posto, a patto che avessimo condiviso la stanza con quattro donne. Ridendoci su, accettiamo iniziamo a dirigerci verso Siena. I km che ci separano da Siena sono poco meno di 40, mentre il sole inizia a calare lentamente alla nostra destra. Siena ci da il benvenuto con tutto il suo splendore: strada piene di gente, negozi aperti, turisti attratti dalle prelibatezze del posto, monumenti strepitosi che echeggiano attorno alla piazza dove in agosto disputano il palio. Le suore sono in preghiera o a cena (non l’ho ancora capito) e ci fanno accomodare nella stanza solo dopo un’ora dal nostro arrivo. Fra di noi brontoliamo, ma poi ci passa quando ci portano verso il nostro alloggio: una stanza con 10 letti, di cui quattro già occupati da altrettante donne. Sono francesi, parlano poco inglese e subito mettono i puntini sulle “i” : “…russate?“. Noi sorridiamo e neghiamo….consapevoli che durante il sonno sembriamo due “Landini a testa calda“. La doccia è piccola, talmente piccola che non riesco a lavarmi in sicurezza, è una specie di vasca da bambino…nella quale bisognerebbe stare sedudi. Prima d’uscire per cena, la suora si raccomanda di non fare tardi e ci indica i non tardare altre le 11. “Scusi…ma sono gia le 21;15….ci lasci almeno il tempo di cenare…“. Usciamo, ceniamo e rientriamo poco dopo il tempo limite. Le nostre quattro amiche francesi, sono già là che russano, mentre ad una scappa una scoreggia che il Conte percepisce all’istante: “Hai sentito?…e poi ci chiedono se noi russiamo?”. La mattina mi alzo con un fastidio all’inguine: fatico a camminare, sono zoppo. Il Conte mi suggerisce un esercizio, che subito cerco di fare, ma il male è talmente fastidioso che ci rinuncio immediatamente.
25 Maggio – Le francesi stanno percorrendo la Via Francigena a piedi e alla mattina lasciano la camera molto prima rispetto a noi. Ci svegliamo alle 6:00, le salutiamo e torniamo a dormire un’oretta abbondate. Salutiamo le suore che molto gentilmente ci hanno offerto la colazione del “Pellegrino” che non ha fatto altro che aprire una voragine nelle nostre pance. Il primo forno lo assaliamo per poi spostarci nel bar a fianco dove finire col caffè. Ora abbiamo le energie necessarie per affrontare una nuova giornata sui pedali in direzione di Bolsena. Le strade sono molto belle, poche auto e qualche su e giu che mette a dura prova le nostre gambe. Nulla di particolare se non alle porte di Buonconvento, piu precisamente a Ponte d’Arabia, scoviamo un centro culturale strepitoso autogestito: la chiave d’ingresso è sotto allo stuino, l’ingresso è ben tenuto, una sala gigante con cucina e due bagni, al piano superiore le camere con qualche libro per intrattenere il viandante. Spettacolo alla stato puro…questo si che è un’accoglienza strepitosa per il Pellegrino! Voto 10 e lode! Ripartiamo, visitiamo Buonconvento, dove ci viene detto che la chiesa c’è ma il parroco manca, quindi non possono fare il timbro. Continuiamo verso la Val d’ Orcia che ormai conosciamo entrambi per le innumerevoli volte che ci siamo stati. Racconto al Conte le mie trascorse in quelle terre e lui mi racconta le sue: sorridiamo e ci promettiamo che moriranno li in mezzo a quella natura incontaminata. Passiamo per Torrenieri, dove troviamo uno splendido timbro autogestito per poi perderci in mezzo a Cipressi, verde, colline, cielo terso, aria calda e sole a picco. Bagno Vignoni mi fa tornare indietro di qualche anno, dove per la prima volta vidi quelle terme che ancora oggi hanno una bellezza strepitosa. Siamo sulla Statale Regionale 2, quando l’orologio ci mostra le 14:30. I piedi sono decisamente caldi, siamo sudati e l’aria inizia a diventare pesante. Abbandoniamo la Strada Regionale per immetterci sulla Statale 478, quando attraversiamo un ponte che scavalca un timido torrente. Guardo il Conte e senza dirci troppe parole cerchiamo il primo sentiero che scende verso il torrente. Nulla dire, nulla da evidenziare, se non chè una piacevole sensazione ai piedi: fresco! Meno di un’ora di piacere per poi riprendere la via verso il prossimo timbro. La strada lentamente si impenna, io cerco di soffrire il meno possibile pedalando del mio ritmo, mentre intorno a me solo prati verdi e sole a picco. Radicofani molto bello, là sopra a un “cucuzzo” che ci fa sputare sangue prima di raggiungerlo. La salita è lunga e tutta completamente sotto al sole, mentre l’acqua nelle nostre borracce sta per scarseggiare. Arrivati in cima troviamo una fontana, cerchiamo il timbro e via a tutta velocità lunga una discesa di qualche decina di km. Sfrecciamo veloci, leggeri, 40 km/h, una curva, un drittone, un’altra curva e l’aria che ci rinfresca dandoci una straordinario sollievo. Acquapendente all’orizzonte e poi ancora il lago di Bolsena a fare capolino dietro ad una collina. Prima di scollinare ci fermiamo ad un incrocio dove un bar ha l’insegna del Pellegrino: timbriamo e riprendiamo le biciclette. Un tavolino è accerchiato da qualche bambino che si diverte a giocare con le carte: mi ricorda un gioco che facevo da piccolo, dove chi perdeva subiva una punizione fisica. Passano pochi istanti e sento un urlo in mezzo a tante risate: uno ha subito il “carrarmato” sul dorso della mano….un altro un pugno…e via discorrendo. E’ un gioco un po violento, ma che rafforza l’amicizia fra quei monelli che un giorno si ricorderanno dei tempi che non torneranno mai piu. Li salutiamo e loro non perdono l’occasione per farci sorridere. Ora è tutta discesa verso Bolsena, che raggiungiamo dopo una mezz’ora circa: a darci il “benvenuti” una signora anziana che ci fa sorridere e preoccupare allo stesso tempo. La casa è perfetta, addirittura ci sono 4 o 5 bagni con una sorta di cromoterapia, le camere grandi con diversi letti e una cucina accogliente. La signora, con una fare tutto “viperino e arzillo“, ci fa sistemare le biciclette in una sorta di porticato chiuso da una porta di legno. Alla nostra domanda: “…sono al sicuro le bici?…” lei risponde con: “”…certo…non vi preoccupate, chiudo la porta.“. Bene e qui tiriamo un sospiro di sollievo, incalzando la seconda domanda: “…ma domattina, chi ci apre il portone per andare a prendere le bici…?“. Lei prontamente e senza timore, ci mostra come aprire la porta: “…basta che la spingete…e lei si apre“. Rimaniamo di stucco, perchè la sua seconda risposta annulla drasticamente la prima…le nostre bici sono al sicuro, ma chiunque può accedere al porticato. Ci tocchiamo “gli zebedei“…e speriamo nell’onestà del prossimo. Dopo la doccia, mi accorgo che quel fastidio all’inguine che a Siena si era manifestato, inizia a farsi piu inteso, come un dolore intenso quando salgo o scendo dalla bicicletta. Devo stringere i denti perchè ormai siamo a Roma….ancora 2 gironi di viaggio. Quando cammino sembro zoppo, ad ogni passo sento una fitta infernale che mi fa accentuare di piu l’anomala camminata. Troviamo un ristorante, che ci accoglie con assaggi tipici per poi portarci della carne e una buona bottiglia di vino rosso! Devo dire che in questo viaggio non è certo mancata nè la carne nè il vino rosso, TOP. Dopo l’amaro saliamo in camera e ci sdraiamo sul letto, mi infilo nel sacco a pelo e cado in un sonno profondo. Durante la notte, l’inguine “urla” e mi sveglio toccandomi la coscia sinistra. Riesco a riposarmi, anche se non nel migliore dei modi.
26 Maggio – Ripartiamo da Bolsena a stomaco vuoto, sperando di trovare un bar lungo il lago. Certo, come no? Costeggiamo il lago di Bolsena lungo un sentiero sterrato, nella speranza di trovare un bar. Il primo che incontriamo non ci piace, è all’ombra e le cameriere stanno ancora preparando i tavoli. Decidiamo di proseguire, anche se lentamente ci accorgiamo che le costruzioni si diradano fino a scomparire definitivamente. La pancia è ancora vuota, mentre la strada si impenna verso su una collinetta a picco sul lago. Dopo una ventina di km ci ritroviamo a scollinare proprio a picco sul lago, dove un albergo ci ospita per la colazione. A differenza della Toscana, il Lazio appare piu trasandato, un po lasciato al caso e poco curato, è un peccato perchè sarebbe proprio una bella zona. Mangiamo e ripartiamo fino a giungere a 100 km da Roma: Montefiascone, dove incrociamo per la seconda volta alcuni ciclisti visti prima della partenza di Bolsena. Qualche parola e poi nuovamente via, verso la penultima tappa prima di Roma. Viterbo è una grande città, cerchiamo il Duomo e aspettiamo per fare il timbro. L’attesa è lunga perchè chi gestisce i timbri è al telefono a parlare dei suoi interessi: non c’è problema, siamo in ferie ed aspettiamo. La nostra attenzione viene catturata da una ragazza che “appollaiata” sul muretto si lascia scappare qualche lacrima seguita da una strana voce strozzata: probabilmente sta parlando al telefono con una sua amica. Mi avvicino, faccio finta di scattare qualche foto e butto l’orecchio alle sue parole. Immediatamente intuisco che ha qualche problema col sul “ragazzo” e appena chiude la telefonata le butto li una battuta: “…qualunque cosa sia successa…sei giovane…simpatica…mandalo al diavolo…e stasera esci col primo che passa…“, lei sorride e di io nuovo: “…noi siamo i primi due…per le amiche ci sacrifichiamo volentieri…“. Ridiamo e scambiamo due chiacchere. Io e il Conte scattiamo qualche foto alla piazza e ce la raccontiamo, mentre lei torna a fissare il suo cellulare, come se stesse aspettando una chiamata che non arriva. Poco dopo, con tutta la “timidezza possibile“, mi chiede se può usare il mio “Facebook“, le rispondo subito: “…certo a patto che il tuo LUI, non venga a cercarmi per farmi il culo…” e poi sorrido. Le presto il telefono e poco dopo me lo rende, la salutiamo. Col Conte ho qualche cenno d’intesa e al volo ci viene spontaneo raccontarci…che a 40 anni…non puoi essere dipendente da facebook,…per di piu se una persona non ti vuole! Senza perdere troppo tempo passiamo per Vetralla, che a primo acchito confondo con Vetrana….ma ovviamente non centra nulla, se non per l’assonanza. Cerchiamo la parrocchia e dopo qualche indicazione arriviamo in un oratorio quasi deserto. Il Parroco deve ancora arrivare, ci accomodiamo sulle sedie all’interno del cortile e mangiamo cio che è rimasto dentro alle nostre sacche. Arriva qualche bambino che si mette a giocare nel prato, mentre fa capolino un signore che ha tutta l’aria del parroco. Avrà si e no 65/70 anni, fuma la pipa e sfoggia un paio di occhiali neri. Ci saluta, chiede ai suoi ragazzini di salutarci con un applauso e inizia a scherzare con loro con modi un po bruschi. Subito non capisco, rimango perplesso, ma poi capisco che il rapporto fra il prete e i bambini è come quello di un padre con i suoi figli. Guardandoci da sotto gli occhiali, cerca di metterci a proprio agio e ci racconta della sua pipa, dei suoi ragazzi, del suo modo di vedere il mondo. Rimango colpito, mentre torno con la mente agli anni passati in parrocchia a Spilamberto con “Don Sergio“…questi si che sono preti! La faccio breve, arrivo al succo del suo pensiero: “…un’ora di giochi nel prato, avvicina il bambino alla chiesa….un’ora di catechismo lo fa diventare ateo…”! Sposo la sua idea, mi piace come ragiona! Passano i minuti, i bambini giocano a calcio e senza che nessuno gli dica nulla, in mezzo al campo spunta un ricciolone nero con la barba! Prende la palla e subito fa due numeri alla “CR7“. I bambini rimangono basiti, mentre lui li mette in fila e insegna loro i fondamentali del calcio. Il Conte è un bravo ragazzo e lo si capisce anche da questi piccoli gesti. Sono ormai le 13:30 passate, quando il parroco ci chiede se rimaniamo a pranzo con loro, insiste e davanti a un nostro motivato rifiuto, “ci manda al diavolo“ sorridendo, per poi salutarci. Che spettacolo di persona. Ripartiamo e la strada si impenna per uscire dal paese. Pedalata dopo pedalata, arriviamo a Capranica dove ci fermiamo a mangiare una strepitosa mozzarella di bufala che ci “fa volare via“. Mamma mia quanto era buona. Il centro “è molto” storico, con stradine strette e pieno di gradini, con la bici fatichiamo a scendere quei gradini che uno dopo l’altro diventano sempre meno. L’odore forte della pipi dei gatti, mi fa gustare poco la bellezza di alcuni vicoli. Pochi km per raggiungere Sutri, dove uno splendido anfiteatro ci fa tornare indietro nella storia. Giriamo attorno con le nostre due ruote per poi fermarci su una panchina a mangiare un boccone. Il Conte va in bagno da dove esce poco dopo con un borsello in mano. Vedo che non dice nulla, poi lo apre e cerca qualcosa: i documenti. Lo aveva scordato in bagno una ragazza tedesca, chissa quando. C’è tutto, soldi, cellulare, documenti, passaporto, chiavi e quant’altro una donna può portarsi dietro. Il Conte prova a telefonare a qualche numero trovato fra le chiamate recenti, fino a quando risponde una ragazza che appare immediatamente preoccupata. Il Conte con un inglese da volare via, la rassicura e la calma, dicendole di non preoccuparsi e che nel borsello c’era tutto. Potevano venirlo a prendere a Sutri…se non chè loro fossero già a Montalcino! Eh? Montalcino? Bene, proponiamo loro di venire a Formello, dove ci avrebbero trovato la sera. Ripartiamo e fra una risata e l’altra passiamo Monteorsi, Campagnano per poi giungere a Formello, la casa della Lazio. Il centro è piccolino, ma l’ostello è qualcosa di stellare, nuovo, tenuto molto bene da un ragazzo che assieme a dei suoi amici cerca di offrire il meglio ai pellegrini che passano su quelle strade. Lo spirito è giusto, perchè capisce bene di cosa ha bisogno un pellegrino e di cosa non ha bisogno. Voto molto alto, se vi capita di passare da quelle parte, merita una sosta. Siamo nella piazzetta davanti all’ostello, quando decidiamo di bere qualcosa per “ammazzare” il tempo, durante l’attesa delle due tedesche. Fantastichiamo, sorridiamo e nel frattempo mangiamo e beviamo. Un tagliere e due bicchieri di bianco fanno da cornice ad un posto meraviglioso. Passa circa un’ora dal nostro arrivo a Formello, quando arrivano due ragazze dall’aspetto straniero: sono loro. Scambiamo qualche parola, cerco di capire piu che di parlare, mentre il Conte ride e racconta a loro quanto sono state fortunate. Per sdebitarsi ci offrono nuovamente da bere e un altro tagliere di salumi e formaggi. Pagano tutto loro e ci salutano. Siamo proprio due bravi pellegrini! Dopo una meritata doccia, scendiamo a cena, dove poco prima avevamo fatto un ottimo aperitivo: carne e vino da leccarsi i baffi, per finire con formaggi e marmellate di loro produzione. Voto 10 e lode.
27 Maggio – E’ l’ultima mattina del viaggio e siamo diretti verso il campo di calcio della Lazio. Dovete sapere che prima della partenza, Gerry Ti-Effe Service un amico del Conte, ci aveva pagato le divise che abbiamo usato durante il pellegrinaggio. Lui è romano di Roma e ovviamente tifa ROMA. Noi per prenderlo un po in giro, non abbiamo perso l’occasione di fare una foto davanti al campo di allenamento della Lazio con le sue divise! L’ avrà presa sicuramente bene, ci siamo fatti un amico! Via, via, via, pedaliamo, canticchiando, anche perchè mancano solo 30 km alla città eterna! L’ingresso nella capitale è singolare, come giusto che sia: centri sportivi ovunque, gente che alle 10:00 della mattina gioca a tennis, mentre altri sistemano gli innumerevoli campi da calcio che si perdono lungo una trasandata ciclabile. Dico trasandata perchè anche se il fondo è molto bello e liscio come un biliardo, ai lati crescono “fresche frasche” che a tratti chiudono quasi il passaggio per la bicicletta. Incrociamo diversi ciclisti, che a tratti ci danno il cambio per passare, altre volte li salutiamo mentre incrociamo i loro sguardi. I km passano lenti, su quella ciclabile che non vorremmo mai abbandonare, il Conte sorride è incredulo su cio che ha fatto e mi racconta qualche sua emozione, che lentamente l’aria si porta via. Siamo felici, sorridiamo, scherziamo e ci facciamo beffa del barista che prima del passo della Cisa ci aveva snobbato senza pensarci due volte. Tiè, noi siamo a Roma….la città eterna! L’ingresso in Vaticano è sempre emozionante, sia per chi “crede” che per chi lo “vede con un altro occhio“: affollato, gente che va a destra, chi a sinistra, chi scatta foto e chi con tanta pazienza è in fila ad attendere il proprio turno per entrare in San Pietro o ai Musei Vaticani. Qualche ricordo offuscato mi riporta a una bellissima esperienza che con mia nonna feci all’età di 7 o 8 anni. Durante una gita, venni sorteggiato per andare a stringere la mano a Papa Giovanni, durante una celebrazione…che sinceramente ricordo poco. Ricordo bene che Papa Giovanni mi disse qualcosa, non so in che lingua…e io rimasi li come un pesce lesso, senza capire nulla.Continuiamo ad osservare, i nostri sguardi si perdono nella moltitudine di persone che popolano il Vaticano, faccio attenzione e ancora adesso sono convinto che oltre al lato spirituale, quel luogo è una “vera macchina da soldi“. Cerchiamo l’ufficio dove eseguire il nostro ultimo timbro, passiamo dal metal detector e poi a turno entriamo per ricevere il “Testimonium“: documento che certifica l’avvenuto pellegrinaggio a Roma devotionis causa.
Roma è bella, non ha bisogno di descrizioni particolari, sprecherei solo parole per descrivere qualcosa che è da
vivere piu che da raccontare.
Roma, la città eterna!
Ho riletto, un po per caso e un po per piacere un articolo scritto sul blog: GALLINA IN FUGA , dove Patrizia Santini mi intervistava dopo il Coast To Coast Italia in Graziella. Mi è tornato in mente che “il tempo si ferma…quando si è in bicicletta” e che “la libertà…è dentro ad ognuno di noi“
…a proposito: cos’è per te la libertà?
“Che bella domanda! Ci vorrebbe una risposta altrettanto bella, ma non so se riesco a dartela. La libertà è la possibilità di sognare ad occhi aperti e poter realizzare i desideri che spesso vengono messi nel cassetto, aspettando il “domani”. La libertà è dentro ad ognuno di noi, ma spesso siamo costretti a tenerla a freno e solo in qualche circostanza riusciamo a liberarla”
La risposta Giuliano è più bella della domanda, colgo l’occasione per chiederti una chiusura adeguata
“Il raccontare queste cose, non rende l’idea di ciò che si è vissuto. Come dice un mio grande amico: “il giorno più bello del viaggio…è domani”. Precisamente non ho mai capito cosa volesse dire, ma l’ho fatto un po mio. “Domani” è il giorno dell’arrivo, è il giorno del racconto, è il giorno in cui ci si ferma e si progetta un nuovo viaggio”
Il nostro viaggio è finito, abbiamo faticato, ci siamo divertiti ed ora è giunto il momento di brindare ad una amicizia nata un po per caso e consolidata con questo strepitoso viaggio sulle strade italiane.